Salute mentale: Trump si paragona a Reagan (sbagliando)

Donald Trump ha iniziato la sua prima domenica del 2018 tornando ad attaccare, a colpi di tweet, il libro controverso sulla 'sua Casa Bianca', quello che lo ha portato a scomunicare una volta per tutte il suo ex stratega nonché direttore della fase finale della sua campagna elettorale del 2016. Lo ha fatto paragonando ancora una volta il trattamento ricevuto dai media a quello del 40esimo presidente americano Ronald Reagan.
Mentra il suo staff si preparava a presentarsi ai microfoni delle trasmissioni tv domenicali per screditare Steve Bannon, reo di avere rilasciato dichiarazioni poco lusinghiere all'autore del libro "Fire and Fury: Insiede the Trump White House", il 45esimo presidente americano ha scritto: "Ho dovuto fare i conti con le Fake News sin dal primo giorno in cui ho annunciato che avrei corso per la presidenza. Ora devo vedermela con un Fake Book, scritto da un autore totalmente screditato. Ronald Reagan ha avuto lo stesso problema e lo ha gestito bene. Lo farò anche io!".
La strategia della Casa Bianca, chiaramente, è continuare a ripetere che il libro è "pura fantasia" e pieno di falsità. Non a caso durante la trasmissione di Cnn "State of the Union", il consigliere presidenziale Stephen Miller ha attaccato Bannon definendolo "una persona arrabbiata e vendicativa" e dando del "grottesco" ai suoi commenti contenuti nel libro di Michael Wolff. Tralasciando il fatto che l'intervista di Miller si sia trasformata in un match con il giornalista Jake Tapper - cosa che ha portato Trump ad accusare nuovamente Cnn di diffondere "Fake News" - è il paragone che Trump ha fatto di sé stesso con Reagan a sollevare altre polemiche.
Il miliardario di New York diventato leader Usa da sempre è un ammiratore del 40esimo inquilino della Casa Bianca. Quando, durante la campagna elettorale, promuoveva il motto "Make America Great Agaian", Trump disse che l'ultima volta in cui l'America era stata grandiosa era durante la presidenza Reagan. L'attore diventato presidente americano è stato citato da Trump anche in merito alla riforma fiscale: quella approvata prima del Natale 2017 è stata la più grande da quella del 1986 voluta proprio da Reagan. Ma quando sabato 6 gennaio Trump è tornato a paragonarsi a Reagan, avrebbe forse dovuto pensarci due volte prima di farlo. Perché in quel caso lo ha fatto facendo riferimento a intelligenza e salute mentale. Secondo il 45esimo presidente, la cui adeguatezza mentale è messa in dubbio nel libro "Fire and Fury", i media stanno riutilizzando la loro strategia usata negli anni '80 (quando Reagan era presidente) per "gridare" mettendo in discussione la stabilità mentale dello stesso Trump.
E' vero che i media si sono interrogati sulla salute mentale del 40esimo presidente ma i loro dubbi risultarono poi giustificati dalla diagnosi di Alzheimer fatta nel 1994 e da dichiarazioni del figlio di Reagan del 2011, secondo cui il padre aveva mostrato sintomi della malattia mentre era nello Studio Ovale. Ecco perché per Trump, Reagan non è il paragone migliore a cui fare riferimento. Inoltre, i media non si interrogarono tanto sulla "stabilità e l'intelligenza" di Reagan quanto piuttosto sui suoi vuoti di memoria, spesso ovvii in pubblico. Quei lapsus portarono la rivista New Republic a chiedere all'America, attraverso la sua copertina, se Reagan soffrisse di demenza senile. E' il Washington Post stesso a ricordare che all'epoca il giornale si domandò in un articolo "cosa il presidente Reagan ha dimenticato e quando lo ha dimenticato?" in merito a scandali passati che travolsero Washington come la vendita di armi all'Iran nonostante un embargo in atto. Nel 1997 il New York Times tornò sull'argomento citando i medici della Casa Bianca, secondo cui la "competenza mentale" di Reagan durante la sua presidenza "non è mai stata messa in dubbio".
Sono parole che escono ripetutamente anche dalla Casa Bianca di Trump. Nel giorno dell'uscita anticipata del libro di Wolff, il segretario di Stato, Rex Tillerson, ha detto di non avere "alcuna ragione per mettere in dubbio la salute mentale" di Trump. Il giorno successivo il 45esimo Commander in chief si è vantato di essere un "genio", affermazione senza precedenti per un presidente Usa. Ventiquattro ore dopo il premier britannico Theresa May ha detto di non essere preoccupata dallo stato mentale di Trump; intervistata dalla Bbc, May ha detto che "quando ha a che fare con il presidente Trump, quello che vedo è qualcuno che è impegnato a garantire che le sue decisioni siano nel migliore interesse degli Stati Uniti". E' tutto da dimostrare quali siano i vantaggi di una valanga di tweet facilmente criticabili e che mettono a rischio la credibilità della prima economia e potenza al mondo.
Mentre May ha confermato che Trump nel 2018 andrà nel Regno Unito, non si è capito ancora se per una visita di stato e per una di rango più basso, la macchina da guerra anti-Bannon della Casa Bianca va avanti. E se Trump continua, stando ad Axios, a fare telefonate agli alleati chiedendo esplicitamente di scegliere tra lui e Bannon (i Mercer hanno scelto il primo), il presidente stesso e il suo staff dovrebbero studiare meglio il caso Reagan. Trump ha rubato a Reagan (per pochi mesi) il titolo di presidente eletto più anziano della storia americana. Per lui, usare il suo mito potrebbe essergli utile per dimostrare che anche se ha 71 anni, può essere un presidente capace di intendere e volere. Il paragone con Reagan tuttavia non aiuta a screditare la stampa interessata a capire se Trump sia mentalmente stabile.

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